venerdì 13 aprile 2007

La mosca

Cronenberg: paura e desiderio

Titolo originale: The Fly
Regia: David Cronenberg
Anno: 1986
Produzione
: USA
Durata: 92 min.
Genere: fantascienza/horror
Voto: 8,5

Seth Brundle (Jeff Goldblum) è un giovane e ambizioso fisico sul punto di presentare una rivoluzionaria scoperta (bisognosa però di essere perfezionata). Durante una cerimonia conosce la giornalista Veronica Quaife (Geena Davis) che è in cerca di uno scoop. Brundle la invita nel suo laboratorio-casa e le mostra qualcosa di incredibile, un’invenzione capace di teletrasportare la materia. Tra i due nasce lentamente una relazione, infastidita però dall’ex amante di lei che è anche il direttore del giornale per cui Veronica lavora. Sarà questo tormentato rapporto “a tre” che condurrà Brundle, in un momento di cieca gelosia, a compiere l’esperimento di teletrasporto su sè stesso. L’esperimento, apparentemente riuscitissimo, avrà in realtà delle conseguenzi devastanti.

La bellezza di un film come “La Mosca” è racchiusa nella sua semplicità narrativa a cui si accompagna però una grande complessità interpretativa. Siamo di fronte a un horror che sfocia spesso perfino nello splatter, c’è più di un pizzico di fantascienza e non mancano i consueti elementi tanto cari a Cronenberg: la commistione tra macchine e carne, la metamorfosi del corpo (e della mente), l’approccio comunque romantico, mai in secondo piano nell’opera del regista canadese. È la sua seconda pellicola americana dopo il precedente “The Dead Zone” del 1983 e si tratta di una personalissima rivisitazione del film “L’esperimento del Dottor K” (1958) di Kurt Neumann che a sua volta si ispirò al racconto di George Langelaan. Già... anche all’epoca i registi d’oltreoceano sfornavano remake a più non posso, ma certamente la dose di creatività che vi inserivano non aveva nulla a che fare con le mere operazioni commerciali degli ultimi tempi (vedi, nello stesso periodo, anche Carpenter per “La Cosa”). Uno degli aspetti più interessanti della pellicola di Cronenberg è come sia riuscito a realizzare un film melò (chiaramente rappresentato soprattutto nel suo drammatico finale) senza che all’epoca molti se ne accorgessero, troppo attenti a etichettarlo (o se preferite ghetizzarlo) come “semplice” horror. I piani di lettura sono però molteplici, come dicevamo, a partire dalla degenerazione del corpo umano, possibile metafora di una qualsiasi malattia che costringe un condannato a morte all’isolamento, e della difficoltà che le persone care incontrano nel condividere una tale sofferenza; non tutti possiedono la forza o il coraggio di restare accanto a una persona amata gravemente malata fino alla fine. Come dice Enrico Ghezzi nel suo libro “Paura e desiderio” quello che Cronenberg ci racconta è “l’angoscia umanistica per il destino del corpo”. Il proprio come quello degli altri.
Vi si ritrova, inoltre, una abbastanza esplicita critica alla società moderna rappresentata da un uomo che cerca di correre più veloce del mondo, ma da questa corsa è travolto.
Il tutto è condito da una fotografia cupa, da scenografie opprimenti (il film è realizzato quasi esclusivamente in interni), da effetti speciali strabilianti per l’epoca (realizzati da Chris Walas e Stephen Dupuis premiati in questa circostanza con l’Oscar) e da attori perfetti (Jeff Goldblum, è probabilmente alla sua migliore interpretazione). Disgusto e commozione: il dramma kafkiano è compiuto.
Recensione pubblicata anche su www.scheletri.com (gennaio 2006)

Davide Battaglia

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottima rece (bellissimo il passaggio dove parli della malattia degenerativa) per quello che secondo me è il miglior film di Cronenberg insieme alla Zona Morta ;-)

Io gli do 8 ma di gusto :-)


Alex

Overdrive ha detto...

Grazie Alex, anche secondo me rimane il migliore film di Cronenberg, seppure con il suo ultimo "History of violence" sia riuscito a creare qualcosa di diverso, rimanendo comunque fedele al proprio stile e proponendo un'ottima pellicola.

Anonimo ha detto...

Ottimo commento, senza dubbio il Cronenberg più bello di tutti. Non è un horror, questa fu l'etichetta commerciale che gli dettero per attirare la massa, ma èun film drammatico che fa del rapporto fra i due protagonisti la vera chiave di lettura del film. In più, come tu hai detto, ci sono i temi che sono cardini delle tematiche care al regista canadese quali la carne e la sua mutazione.

Filmone!

Stasera me lo riguardo!

Lorenzo

Overdrive ha detto...

Grazie Lorenzo, sono ovviamente d'accordo, ma mi fa piacere averti stimolato la voglia di rivederlo! :D

Anonimo ha detto...

Posso solo che essere d'accordo, bella recensione e bel film, ma nessuno parla dei protagonisti? Secondo il mio misero parere Jeffery Goldblum è perfetto nel suo ruolo!!!
Simona

Anonimo ha detto...

Difficile definire un regista visionario come Cronenberg e del resto lui stesso, anche grazie a studiate interviste, ci tiene a conservare, in puro divismo, una certa immagine inafferrabile di se stesso. Come, spesso, sono inafferrabili i suoi film, non in quanto incomprensibili, ma in quanto difficili da porre su un piano diverso da quello dell'analisi del Male. Non si capisce un film di Cronenberg, secondo me, se non lo si guarda attraverso la sua poetica del Male, male che può essere la stoltezza dello scienziato ne La Mosca, analisi perfetta del "doppio" ripresa poi da Inseparabili dove il Male è il voler estirpare "l'uguale a se stesso". In questo senso, io, in controtendenza, giudico "A history of violence" il suo miglior film. Il Male non è più sublimato, come ne "La Zona Morta", nessun potere paranormale, il Male, non quello assoluto, è la doppia faccia di ogni essere umano, vive dentro la famiglia, la società, e in questo senso Viggo Mortensen è l'incarnazione perfetta dell'uomo qualunque capace di trasformarsi in "bestia selvaggia", prototipo del Male, razionale o irrazionale che sia.

Anonimo ha detto...

Recensione eccellente. Film eccellente. Un pugno nello stomaco per quella kafkiana metamorfosi di cui si ha atroce coscienza, purtroppo inarrestabile, delirante fino al paradossale epilogo.
Tra parentesi, visto anche l'esperimento del dottor K -correva l'anno 1958 -(che poi chi caz è il dottor K non lo saprò mai, nel film non se ne fa menzione...).. a suo modo angosciante, molto meno claustrofobico e più onirico, del tutto privo di quel phatos doloroso che accompagna la trasformazione graduale del remake, ma con un finale che, nella suo essere naif, impone una riflessione sulle logiche della dversità ed il valore della vita.

Harold the barrel

Overdrive ha detto...

Grazie Beppez la tua analisi è perfetta e mi trovi anche d'accordo sul discorso fatto in merito a "History of violence" al quale, volendo essere puntigliosi, critico solo la brevità della durata... qualche minuto in più avrebbe permesso un'introspezione più profonda. Bellisimo invece il finale, che con quel silenzio dice davvero tanto...

Thanks Harold, mi vergogno, ma devo ammettere di non aver ancora visto l'originale... poco male perché sopperirò a questa mancanza tra pochi giorni, visto che lo danno al festival tra scienza e fantascienza! ;)

Anonimo ha detto...

Mi trovi d'accordissimo overdrive...la scena finale, di Mortensen che torna a casa, non parla ma osserva solo la famiglia seduta a tavola, la moglie che lo guarda e capisce, i figli zitti, la piccola che gli allunga il piatto, in un simbolico "io so che tu sai che io so quello che ho/hai fatto" dice tutto da sola e vale il prezzo del biglietto. Se il cinema è immagine pura, come dicono alcuni critici, Cronenberg dimostra, ancora una volta, di usare il mezzo da vero maestro. Come Lynch del resto, o Burton con le sue scenografie, al servizio dell'onorismo o del "non detto". Ma vorrei ricordare il Michael Mann di Collateral...la vera protagonista lì è una anonima, fredda, stroboscopica Los Angeles, "città non città" dove si perdono le identità. Quando Mann lascia viaggiare la digitale da sola, senza parole, a sorvolare la Città degli Angeli o a penetrarne locali, vie, vicoli, beh, che dire, il talento è lì, dietro quella piccola macchina da presa che si è fatto costruire apposta.