mercoledì 4 aprile 2007

Il visionario di Hollywood

Il mondo fiabesco di Tim Burton

Il suo aspetto fisico, in particolare quegli strani capelli arruffati, che ricordano una delle sue più celebri creature, lo fanno sembrare una rock star, più che un regista hollywoodiano, ma la definizione di regista sarebbe, nel caso di Tim Burton, comunque limitativa. Lo stile e le tematiche che questo artista unico è riuscito a infondere alle sue opere fin dagli esordi, gli conferiscono indiscutibilmente l’appellativo di autore, definizione che è possibile usare nel suo significato più puro. I suoi film, caratterizzati da uno stile inconfondibile, hanno creato un vero e proprio genere che danza con perfetta agilità, dall’horror, al gotico, passando per la fiaba e il grottesco.
Quello che stupisce maggiormente, e allo stesso tempo conforta, è come Burton, nel tempo, sia riuscito a mantenere la propria identità e integrità anche all’interno dello star system di Hollywood e anche quando si è cimentato in produzioni su commissione (come nel caso dei primi due episodi di Batman o nel remake de Il pianeta delle scimmie), muovendosi nel campo del fantastico, ma conservando sempre uno sguardo personale e spesso autobiografico.
La critica lo apprezza ma spesso gli cuce addosso un’etichetta che lui sembra non gradire particolarmente; sarebbe in effetti un errore relegarlo a semplice creatore di atmosfere darkeggianti o cupe. Certo, l’oscurità è elemento fondamentale della produzione burtoniana, ma come affermato da lui stesso, la natura umana è il risultato dei contrasti tra la vita e la morte, tra la luce e il buio. Impossibile scinderli, nella vita come nell’arte, ed è per questo che Burton utilizza gli opposti e cerca di individuare il sottile confine che esiste tra gli estremi. L’esempio più lampante di questa ricerca lo si può ritrovare proprio in uno dei suoi ultimi film, Big Fish, in cui traspaiono colori vivaci e atmosfere oniriche di vaga reminescenza felliniana, in cui la fantasia è lo strumento perfetto per capire la realtà e per indagare i rapporti umani.
La carriera artistica di Burton inizia alla Walt Disney dove, giovanissimo, viene assunto come animatore. La sua abilità gli permette di esordire a 24 anni come regista di un cortometraggio animato, dal titolo Vincent (un omaggio al suo idolo Vincent Price).
Nel 1985 l'attore Paul Rubens lo sceglie per dirigere "Pee-Wee's Big Adventure", film in cui Burton riesce già a mostrare uno stile personale e visionario infarcendolo di elementi autoriflessivi, citazioni ed omaggi, nonostante l’opera risulti ovviamente acerba. Il grande pubblico lo conosce nel 1988 grazie al successo di “Beetlejuice - spiritello porcello” che vince anche l'Oscar per il miglior trucco. Dopo “Batman” (1989), è la volta di uno dei suoi film più belli in assoluto, la favola surreale di “Edward mani di forbice”, (1990), in cui spicca la bravura di un giovane e irriconoscibile Johnny Depp. Seguono l’esperimento di "Nightmare Before Christmas" (1993, da lui scritto e prodotto, ma diretto da Henry Selick), il biografico e splendido "Ed Wood" (1995, Oscar meritatissimo per il miglior attore non protagonista - Martin Landau nel ruolo di Bela Lugosi - e quello per i migliori effetti speciali di trucco.) ispirato alla vita del noto regista di B-movies (o Z-movie, se preferite), "Mars Attack!" (1996), "Il mistero di Sleepy Hollow" (1999, Oscar per la miglior scenografia), "Planet of the Apes" (2001), Big fish (2003), il remake di “Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato” (2005) e, sempre nello stesso anno, “La sposa cadavere”, il secondo film, dopo NBC, interamente girato con la tecnica dello “stop motion”.
La Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, giunta alla sua 64a edizione (29 agosto - 8 settembre 2007), lo premierà conferendogli il Leone d’oro alla carriera. Riconoscimento che ha un peso ancora più rilevante se si pensa alla relativa giovane età del regista americano.

Davide Battaglia

4 commenti:

Anonimo ha detto...

«Tim Burton - ha dichirato il direttore della Mostra di Venezia Marco Muller - è un genio del cinema, il figlio più fantasioso della nuova età dell’arte.
...come non essere d'ccordo!!!!
Simona

Roffo ha detto...

Vero
Burton è un genio

Anonimo ha detto...

Tim Burton...che dire, mi unisco al coro, e come potrebbe essere altrimenti? Certo, è un genio, ma più che un genio è un film maker nel senso più completo, come lo si diceva un tempo di un Howard Hawks, capace cioè di supervisionare il suo progetto dalle fasi iniziali a quelle finali. Ma, permettetemi, il Nostro, nel terzo Millennio, ha un valore aggiunto in più, che lo avrebbe fatto apprezzare, e non poco, a quella Nouvelle Vague che aveva la sua bibbia nei Cahiers du Cinema su cui scrivevano mostri sacri come Malle e Truffaut. Davide dice: Burton ha il potere di creare arte staccandosi dal sistema delle Major, e fa arte quando anche è su commissione. Ha ragione. In pratica, quello che facevano Hitchcock, Wilder, Hawks, Rosenberg, Aldrich negli anni d'oro delle Major, quelli antecedenti l'avvento della televisione. Il fatto che, al giorno d'oggi dove le Company sono multinazionali il cui azionista di riferimento è spesso una multinazionale a sua volta che cinema non si sa neanche come si scrive (vedi la Corporation Sony che produce anche film), Burton faccia film tutti suoi e intrisi d'arte, ne amplifica ancora di più la sua bravura e grandezza. Solo che è arrivato e se ne infischia delle Major, perchè in parte le tiene per le palle, può permettersi di fare film come Big Fish, che per me è il suo capolavoro, perchè ne esce una sottile linea di melanconia in altri suoi film decontestualizzata in humor e qui invece presente come stato dell'anima. Coppola girò, non su commissione, Apocalypse Now e andò in bancarotta, Cimino girò I cancelli del cielo e affossò la RKO, e tutti e due sono registi che, prima di dirigere di nuovo capolavori, hanno quasi dovuto rifare la gavetta, come Pollack del resto. Segno che le Major badano sempre a Mister Dollar. Per Burton è lo stesso, ma forse la sua pazzia-da-bambino l'ha tenuto lontano da certi giochi, e così continua a regalarci film dove si sogna ad occhi aperti, proprio come si faceva da bambini, ma in più imparando qualcosa di più della vita. E non è poco. Per cui, un grazie doppio Tim. by BEPPE.

Overdrive ha detto...

Grazie dei vostri commenti.
In particolare, Beppe, hai centrato il discorso paragonando Burton a maestri come Hitchcock o Wilder capaci di creare arte nonostante fossero "mainstream". Allora, forse, ce n'erano di più... oggi sono diventati merce rara. Onore a Burton e a tutti quelli che, come lui, riescono a non piegarsi al volere del dio denaro.