giovedì 3 maggio 2007

I figli degli uomini

Un antieroe in infradito

Titolo originale: Children of men
Regia: Alfonso Cuaròn
Anno: 2006
Produzione: USA
Durata: 98 min.
Genere: drammatico/fantascienza
Voto: 7,5

Quante volte guardando un film si è portati a riflettere su come la fantasia degli autori tragga spunto dalla realtà, magari enfatizzandola (anche se abbiamo tutti imparato come spesso la realtà corra più velocemente e sia tragicamente più apocalittica di qualsiasi finzione) ed estremizzando le conseguenze delle più disparate azioni umane? Visionando “I figli degli uomini” si prova esattamente questa sensazione, ovvero di trovarsi di fronte a qualcosa di molto reale e non a una rappresentazione fantascientifica.
Slavoj Zizek, autorevole filosofo e critico culturale, parlando dell’opera di Alfonso Cuaròn, cita perfino Hegel e il suo “estetica” dove si sostiene che un buon ritratto assomiglia di più alla persona che la persona stessa o, in altri termini, un buon ritratto è meglio rappresentativo della persona che ritrae.
Questo è proprio quello che fa il regista messicano con il suo film: non punta verso una realtà alternativa, ma rende semplicemente la realtà più di quello che è già. In questo senso è stata decisiva la scelta di girare la pellicola conferendole un taglio documentaristico, facendo ampio uso di lunghi piano-sequenza e soggettive che seguono i protagonisti della vicenda come farebbe un reporter di guerra. Le stesse macchie di “sangue” che schizzano sulla mdp (originariamente furono un errore, ma alla fine Cuaròn e il suo direttore della fotografia Emmanuel Lubezki decisero – fortunatamente – di mantenerle) non fanno altro che accentuare questo senso di iper-realismo.
Il futuro brutto, sporco e cattivo che l’umanità si sta costruendo con le proprie mani è già davanti ai nostri occhi: migrazioni ambientali o socio economiche sempre più fuori controllo, globalizzazione senza freni, tensioni razziali e guerre civili, sono, in realtà, già il nostro presente. E fa poca differenza se lo scenario di tutto ciò non è un paese della ex Yogoslavia o uno stato del Medio Oriente, ma una Gran Bretagna (scelta che assume una valenza in più a causa della sua caratteristica di nazione tradizionalista per eccelenza) rimasta unico baluardo di un mondo che ha già varcato la soglia del collasso. Un baluardo che però assomiglia a un regime nazista, che, nella speranza di preservare le proprie barriere e assicurare i servizi minimi per i propri cittadini, ha cancellato il concetto di dignità umana di tutti gli altri. Le frontiere sono state chiuse, i profughi vengono espulsi (se non uccisi) dopo essere stati deportati in città trasformate in lager. Non esiste più una morale perché non esiste più un futuro e la tematica fantastica del film – la totale infertilità del genere umano – è solo la metafora di uno dei possibili olocausti.
Cuaròn (ma soprattutto la scrittrice P.D. James, autrice del libro da cui il film è tratto) ci parla anche della pericolosità delle utopie e dei soggetti che in esse credono ciecamente: bisogna temere le persone che amano più gli ideali che i propri simili, perché il passato ci ha insegnato che anche ideali buoni possono portare all’odio per chiunque abbia la facoltà di interferire con la realizzazione del sistema sognato.
Anche preservare l’arte diventa un’utopia e il David di Michelangelo salvato dalla fondazione per l’arte (insediata all’interno della celebre centrale per l’energia elettrica di Battersea) appare come un triste e decontestualizzato pezzo di marmo circondato da un ambiente totalmente asettico.
E il grande maiale con le ali che veleggia tra le torri della centrale (esplicito omaggio ai Pink Floyd e alla cover dell’album Animals, a sua volta riferimento all’allegorico romanzo “la fattoria degli animali” di Orwell) restituisce un’immagine ancora più terribile di questo presente. La musica riveste, infatti, un ruolo importantissimo: incentrata soprattutto su grandi brani degli anni ’60 e ’70 è, al contempo, sinonimo di nostalgia e testimonianza di quanto il mondo non si sia evoluto più da quei tempi fino al 2027, dove c’è poca tecnolgia rispetto al nostro presente e quella poca che c’è, è già malridotta.
Un film evocativo, pregno di significati e, probabilmente, utopistico allo stesso modo delle tematiche che mette in discussione. Tanti punti di riflessione non coadiuvati da una sceneggiatura non sempre all’altezza che rimane l’unico (ma non marginale) neo della pellicola.
Nonostante questo “I figli degli uomini” va visto e rivisto, sia per le sue apprezzabili soluzioni tecniche, sia per gli scottanti e attualissimi argomenti trattati. Non resta che seguire gli incerti passi dell’antieroe Theo-Clive Owen che, calzando comodi quanto inopportuni infradito, verrà travolto dagli eventi e sarà costretto, suo malgrado, a combattere la sua depressione e il suo nichilismo per restituire un futuro all’umanità.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello il film, ancora più bella la tua recensione, lucida analisi del fatto che sempre più spesso i nuovi film, se si escludono artifizi quali invulnerabilità e superpoteri vari, nonché una teatralizzazione della morte che in realtà è ben più cruda e misera, rispecchiano la realtà che già da tempo stiamo vivendo ogni giorno. Punto di non ritorno superato...ma di quanto????????

Overdrive ha detto...

Grazie sanpiero!
Un film che getta un monito (assurdo che questo compito spetti a un film) e provoca angoscia e che va decisamente contro tutte le pellicole "post 11 settembre" che cercano di rassicurare le coscienze... i tanti film sui supereroi sono l'aspetto più lampante!

Anonimo ha detto...

Ho un bellissimo ricordo di questo film, nonostante alcune pecche nella sceneggiatura (il particolare delle infradito mi mancava :) )... e leggendo la tua *ottima* recensione, mi è quasi venuta voglia di rivederlo.

Non hai trovato un M. Caine amorevolmente lennoniano? Manco l'avevo riconosciuto, all'inizio... va beh, ammetto di aver noleggiato questo film un poco alla cieca.

Walter R.

Overdrive ha detto...

Verissimo Walt! Lui è un reduce del '68... un vecchio hippie che vive in un piccolo paradiso, isolato dal resto del mondo che fuma marijuana alla fragola e ascolta musica zen! :)))
Grazie per i complimenti! :)

Anonimo ha detto...

Bel film (da 7, per capirci), forse meno lucido di quando avrebbe dovuto essere (ovvero meno schierato, lasciando più spazio al ragionamento che non all'emotività). Sicuramente un prodotto superiore alla media degli ultimi tempi.
Di certo è una di quelle pellicole nate sulla scia dell' 11/09, anche se il libro è precedente...
Però, da quel che so, libro e film sono piuttosto differenti. Ma non vorrei appena aver scritto la cazz*ta dell'anno :)

Anonimo ha detto...

Devo dire che "I Figli degli Uomini" è stata una delle più belle sorprese dello scorso ano. Tecnicamente ben fatto, angosciante al punto giusto e con uno spunto di partenza intrigante. Non è un film perfetto, però se tutti i brutti film fossero come questo staremmo sempre dentro al cinema. Complimenti per la recensione e per il blog.

Anonimo ha detto...

Innanzitutto complimenti per la recensione!
Faccio parte di quella schiera di persone che è rimasta delusa da questo film, come ben sai (gli darei 6+ / 6,5); e i motivi di questa delusione sono da ricercarsi nella sceneggiatura - me lo aspettavo molto più attinente al romanzo - non certo nell'aspetto tecnico.
Un film che fa comunque riflettere su un possibile futuro e che trasmette un certo senso di angoscia, soprattutto nella seconda parte.
Molto interessante il particolare del maiale volante...me lo ero chiesto proprio durante la visione ma non lo avevo collegato ai Pink Floyd

Overdrive ha detto...

Grazie anime!
So che tu sei rimasto abbastanza deluso, ma capita spesso quando si è già letto il libro da cui il film è tratto.
Ne il caso de "i figli degli uomini" i difetti nella sceneggiatura esistono a prescindere dalla bontà dell'opera letteraria, ma l'impatto visivo, la realizzazione tecnica e, soprattutto, l'incoscio che mi è riuscito a smuovermi hanno prevalso su tutto il resto...