Uomini al fronte nella terra dei confini
Titolo: La grande guerra
Regia: Mario Monicelli
Anno: 1959
Produzione: Italia
Durata: 130 min. (b/n)
Genere: commedia, drammatico
Il Friuli, terra accidentata di abissi carsici e strettoie impervie, ricolma di argomenti obbligati e ingorghi emotivi, è stato al centro di storie che, in maniera quasi ossessiva, discutono e fanno riflettere sul tema del confine, dei conflitti tra le
minoranze, delle differenze tra identità politiche e sociali.
Una terra che rispecchia in pieno la conflittualità dell’animo dei suoi abitanti e delle opere artistiche che qui hanno avuto origine o che vi si sono alimentate. Sarebbe pretestuoso e inutile elencare il vasto numero di pellicole e romanzi che, soprattutto nel decennio tra la fine degli anni Quaranta e la fine dei Cinquanta, hanno raccontato e fatto riflettere sul tema della guerra e del confine, ma non è un caso come l’“estremo oriente” italiano sia quasi
totalmente refrattario al tema della commedia.
Forse però il più importante lavoro cinematografico partorito in questi luoghi è stato, nel 1959,“La grande guerra” di Mario Monicelli, pellicola innovativa in cui il regista coadiuvato dalle splendide interpretazioni di Vittorio Gassman e Alberto Sordi, osò coniugare il dramma bellico proprio con quella commedia all'italiana tanto lontana dall’essenza aspra e lacerata del
Friuli-Venezia Giulia, dissacrando per primo un tema tabù come la tragedia del 1915-18.
Un viaggio nel nostro passato, attraverso gli occhi di due soldati tutt'altro che eroici e passando per i luoghi che sono stati al centro di uno dei capitoli fondamentali della storia italiana, da Gemona a Sacile, da Udine a Pordenone, fino al mitico Piave, confine più ideologico che effettivo, ma che nell'immaginario comune rappresenta la vera linea di accesso-difesa alle terre giuliane liberate.
Sui monti della Carnia vennero scavati nella roccia chilometri di trincee, postazioni e gallerie. Sia gli italiani che gli austro-ungarici dovevano mantenere ad ogni costo la posizione e fu per questo che il conflitto si trasformò in una
logorante partita di posizione su cime, selle, forcelle e cenge, dove si attendeva la mossa falsa dell’avversario. E se è pur vero che i soldati morivano in attacchi improvvisi o in difese disperate, spesso accadeva che il maggior numero di perdite lo si avesse per gli stenti causati dal freddo e dalla fame, da valanghe e slavine o dall’impietoso abbattersi dei fulmini sulle vette.

La bravura di Monicelli risiede soprattutto nel fatto di essere riuscito a mantenere un certo distacco in modo da non perdere mai di vista lo
sfondo collettivo fatto anche di innumerevoli comparse locali, oltre che a scene di combattimento accurate e realistiche, ma conciliandolo con una partecipazione capace di catturare ogni sfumatura dell’anima e del volto dei due protagonisti che sfoggiano una comicità fatta di gag e dialoghi che si alterna in modo disarmante alla tristezza e allo sgomento che solo il grande teatro dell’assurdo in cui si svolge la guerra può mettere in scena.
Nata da un’idea di Luciano Vincenzoni, influenzata dal racconto “Due amici” di Guy de Maupassant, la pellicola ha il grande pregio di rappresentare per la prima volta sullo schermo la guerra depurandola da ogni possibile
retorica fascista, in cui persisteva il mito di soldati eroici e valorosi pronti ad immolarsi per la patria, mentre nella realtà esistevano condizioni di vita miserevoli e grandi contrasti dettati dalle differenze di estrazione culturale e, in particolare, geografica, come era inevitabile per un Paese nato da così poco tempo.
Per questi motivi il film ebbe non pochi problemi con la censura sia durante la sua fase di lavorazione che al momento dell’uscita nelle sale. Fu una lettera di Giulio Andreotti, all’epoca ministro della difesa che, su richiesta del produttore Dino De Laurentis, tranquillizzò le associazioni dell’arma preoccupate fino a quel momento di essere oggetto di
vilipendio e offesa da parte dell’opera.
Fortunatamente il film uscì ed ebbe un grande successo, tanto da ricevere il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia e di essere candidato all’Oscar come miglior film straniero, ma ebbe anche il merito, riconosciuto ancora oggi, di diventare una delle migliori ricostruzioni, dal punto di vista storico, del cinema italiano sul conflitto mondiale.
Oggi, sono passati 90 anni, ma le montagne del Friuli restano una testimonianza indelebile con le loro trincee, i fortilizi, le mulattiere che, insieme ad altri reperti d'epoca, rappresentano un patrimonio storico irrinunciabile. Camminare su questa “linea di confine” ha un sapore tutto particolare, un sapore che deve richiamare il dolore e la sofferenza e che ci deve far ricordare sempre quanto sia stato alto il prezzo pagato dai nostri nonni per la pace e la libertà.
Davide Battaglia