
Nel 1991, proprio sulle pagine di Dylan Dog, apparve la pubblicità di un nuovo personaggio... Sergio Bonelli volle sottolineare come, nella sua casa editrice, la fantascienza non aveva, fino a quel momento, trovato posto, a causa delle proposte poco accattivanti che aveva ricevuto.
Ci pensarono quelle menti fervide di Michele Medda, Antonio Serra, e Bepi Vigna (la banda dei sardi, come venivano chiamati) a fargli cambiare idea.
Mi innamorai subito dell'immagine della copertina (realizzata dal grande Claudio Castellini, poi sostituito dal comunque bravo De Angelis) del primo numero, con i suoi richiami alla fantascienza darkeggiante e pessimista di Blade Runner. Ero, in particolare, affascinato dagli scenari della megalopoli senza nome situata sulla costa est che gli autori erano riusciti a descrivere così bene: dagli spazi infiniti e lussuosi del settimo livello fino alle atmosfere fosche e malsane del primo livello, dimora di reietti, delinquenti e mutati (esseri creati geneticamente per sopportare i lavori più pesanti)... una scala gerarchica "piramidale" che, oggi, mi farebbe pensare al "Condominio" di James G. Ballard, autore che però all'epoca ancora non conoscevo.
Impossibile, poi, non empatizzare con il personaggio di Nathan: solitario, schivo, tormentato... umano in una sola parola. Il suo passato, almeno per un certo periodo, era colmo di punti oscuri e questo non poteva che far aumetare il suo fascino; l'unica certezza era che il suo pessimismo cosmico avrebbe sorpreso perfino un tipo cupo come Rick Deckard, ma considerarsi responsabile dell'uccisione della propria moglie e dover provvedere alle cure di una figlia divenuta autistica, proprio a causa di questo shock, sarebbero state croci troppo grandi da sopportare per qualsiasi uomo, ed è per questo motivo che il carattere e i comportamenti dell'agente speciale sono sempre risultati credibili e condivisibili da parte di ogni lettore.
Molte sono state le storie che, nel tempo, mi hanno colpito e la cui eco è rimasta impressa a lungo, ma su tutte, come penso per molti altri fan di questo fumetto, l'estasi la raggiunsi leggendo il primo albo gigante "Doppio Futuro". Nella storia, pubblicata nel febbraio 1995, si entra in contatto per la prima volta con i tecnodroidi e si naviga insieme all'astronave Dakkar in un futuro ancora più lontano di quello normalmente raccontato nelle trame della serie regolare.
Quattro epoche diverse su altrettanti piani narrativi che permettono allo sceneggiatore (Antonio Serra) di spaziare tra i diversi generi fantascientifici, passando con disinvoltura dal presente bladerunneriano, ai futuri che richiamano i paesaggi apocalittici di Mad Max o il luminoso ottimismo di Star Trek. La trama invece è un dichiarato omaggio ai paradossi temporali già visti in Terminator, ma tutte queste citazioni (volendo essere buoni con l'autore) non inficiano il risultato finale: una storia coinvolgente e anche commovente che rimane impressa anche a distanza di anni. Ricordo che lessi le ultime pagine ascoltando "firth of fifth" dei Genesis... le note della chitarra di Hackett miscelate alle parole di Serra e ai disegni di De Angelis mi emozionarono a tal punto che, sulla parola "fine", trattenni le lacrime a stento.