Tutto deve ricominciare…Titolo originale: Mirai ShOnen Conan
Regia: Hayao Miyazaki, Keiji Hayakawa, Isao Takahata
Animazione: Hayao Miyazaki, Yasuo Otsuka
Anno: 1978
Produzione: Giappone
Durata: 26 episodi da 25 min.
Genere: fantascienza
Se i calcoli sono esatti, tra poco meno di un anno – quindi nel 2008 – dovrebbe esserci la
fine del mondo. Almeno per come lo intendiamo noi oggi. Il tutto sarà causato da una terza guerra mondiale combattuta a base di bombe magnetiche (ben più potenti e distruttive di quelle atomiche!) che distruggeranno in poche ore la superficie terrestre… perfino l’asse di rotazione del nostro pianeta verrà spostato e i continenti si frattureranno inabissandosi negli oceani.
Solo poche persone riusciranno a salvarsi e rimarranno isolate nei pochi territori emersi… dovranno ricominciare da zero, ma, come sempre, l’
ostinazione del genere umano avrà il sopravvento e in qualche modo riusciranno ad andare avanti.
In poche parole questo è lo scenario in cui si muove
Conan (non il barbaro, ovviamente), un ragazzino di undici anni nato dopo la catastrofe su un’isoletta (chiamata l’
isola perduta) dove un gruppo di astronauti precipitarono nel tentativo di scappare fuori dall’orbita taerrestre.
Siamo nel
2028 e Conan vive con suo nonno, l’unico degli astronauti sopravvissuti,

conducendo un’esistenza semplice e intimamente legata alla natura, credendo che non esistano altri essere umani sulla Terra.
Il ritrovamento, sulla spiaggia della piccola isola, di una ragazza priva di sensi, sconvolgerà la vita di Conan…
Lana, questo il nome della ragazza, rivela che molte altre persone sono sopravvissute alla catastrofe, e che nella sua isola di
Hyarbor la gente vive in pace e armonia, anche se minacciata dall’aggressiva società di
Indastria, praticamante l'unica città-stato ancora basata sulla tecnologia rimasta sulla Terra.
Conan conoscerà ben presto le cattive intenzioni di questa fantomatica Indastria dal momento che un’aereo partito proprio da lì giungerà sull’isola perduta, ucciderà il nonno e rapirà Lana, dando il via a un’avventura lunga 26 episodi (quasi 11 ore).
Quando Conan apparve per la prima volta sugli schermi televisivi italiani – anche se ero ancora un pivello (come tutti quelli della mia generazione) – ci rese conto di essere innanzi a qualcosa di leggermente diverso dai soliti
robottoni alla Go Nagai (per carità, non sputerò mai nel piatto in cui ho mangiato per tanti anni, ma Ufo robot, Mazinga & Co. non hanno un’unghia dello spessore che può vantare il cartone di
Miyazaki).
L’elevata qualità artistica e tecnica di questa serie animata sorprende se si pensa

che in quegli anni la televisione (soprattutto quella di intrattenimento per l’infanzia) stava muovendo i primi passi e non è un caso che, nonostante Conan sia rimasta (fortunatamente) una mini serie senza seguiti o prequel, a differenza dei più popolari
anime, abbia un folto numero di estimatori, non solo tra i nostalgici trenta-trentacinquenni che la guardavano da infanti, ma anche tra gli adolescenti di oggi, più smaliziati e abituati a ben altri prodigi di tecnica, rispetto ai loro coetanei di fine Settanta.
Le ambientazioni fuori dai canoni tradizionali (molti i riferimenti al paesaggio e all’architettura degli anni Quaranta, chiaro rimando alla
Seconda Guerra Mondiale e al disatro atomico di cui il
Giappone fu vittima) e le tematiche ambientaliste (facile dist

inguere la dicotomia bene-male, la prima rappresentata dai contadini e dalla natura, mentre la seconda, dall'industria e le macchine) lo rendono uno dei prodotti di animazione più interessanti dell’intera produzione giapponese e all’epoca rivelarono la bravura e la delicatezza di un autore come Hayao Miyazaki, destinato col tempo ad essere riconosciuto come il più grande regista giapponese di – adoro questo termine che oggi non si usa quasi più - “
cartoni animati”.
Personalmente, nel rivedere qualche episodio a distanza di più di vent’anni, ho notato quanto la nostalgia per il passato sia il tema portante di tutta la storia che, seppure nella sua semplicità, riesce a portare lo spettatore a riflettere.
Non per mezzo del solito buonismo che accumuna tante produzioni di oggi, ma con qualcosa di più profondo e raro.
Un piccolo gioiello da riscoprie.
Davide Battaglia